Lo scandalo di un cuore che batte: riflessioni sull’embrione umano
27, Novembre 2022
Una donna incinta può sentirsi torturata se sente il battito del cuore del feto? È la prova schiacciante che non è un grumo di cellule, ma una persona

Di Roberto Allieri

Quando parliamo dell’embrione umano, tutto il discorso può essere semplificato e ricondotto ad un’unica questione fondamentale: è un ammasso di cellule (ipotesi 1) o è un essere umano (ipotesi 2)?

Precisiamo anche che la risposta a questa domanda non è soggettiva: o vale un’opzione o vale l’altra. È una questione ontologica, che riguarda l’intima essenza, la connotazione oggettiva del concepito. E perciò la risposta deve essere necessariamente un punto fermo per tutti e universalmente. Non può essere che secondo me il feto è una persona e secondo un altro è spazzatura.

Esisterebbe una terza opzione: quella di chi considera il concepito nel ventre materno come una persona, con la dignità che spetta ad ogni essere umano. E tuttavia si arroga il diritto di sopprimerlo perché è di impiccio o non desiderato. È questa un’opzione strisciante ma non (ancora) ammessa apertamente dall’ideologia abortista: sarebbe eticamente indifendibile ed equiparerebbe l’aborto al diritto di uccidere persone considerate di serie B o non degne di vivere. E se qualcuno pretendesse di far valere questo diritto, un altro potrebbe esercitare la stessa facoltà contro di lui. Sarebbe la fine della civiltà.

Analizziamo l’ipotesi 1. Appare ovvio che se il feto fosse assimilabile ad un mero ammasso di cellule, non differente da altri ammassi, come un pezzo d’unghia o un dente, la sua eliminazione sarebbe da considerare come quella di un soprammobile indesiderato: tolto il dente, tolto il problema.

Anche un’unghia è costituita da cellule con un DNA umano, come nell’embrione. C’è però una differenza: l’unghia, staccata dal corpo, non è un organismo bensì materia morta che evolve verso la disgregazione. L’embrione è invece un organismo che si sviluppa, alimentato da un motore che si chiama Vita.

La diversità è tutta qui: materia morta che non evolve verso forme di vita oppure organismo vivente. È poi importante aggiungere che questo organismo vivente che è il feto è caratterizzato da un DNA distinto da quello della madre; un patrimonio genetico che lo rende unico e irripetibile!

Ce n’è abbastanza scientificamente, eticamente e filosoficamente parlando, per dimostrare che l’embrione è una creatura umana e lo è sin dal concepimento, come riconosce la stragrande maggioranza di medici, biologi, ginecologi, ostetriche: professionisti che non possono disconoscere ciò che vedono, né ingannare la loro coscienza. E ai quali non si perdona di essere ciò che sono e di capire ciò che vedono.

Forse qualcuno crede che l’embrione sia sì un organismo umano nel quale è inscritto un DNA, che è il codice della vita. Tuttavia, questo qualcuno pensa che anche in un brufolo c’è tanto DNA umano eppure può essere schiacciato ed eliminato. L’embrione potrebbe dunque essere espulso, alla stregua di un brufolo.

L’inganno di voler attribuire la stessa dignità a embrioni e brufoli, dal momento che possono essere anche delle stesse dimensioni, viene meno quando l’embrione si ostina a manifestarsi con atteggiamenti tipicamente umani ovvero con manifestazioni di vitalità. E allora ci si accorge che un feto può succhiarsi un dito, dare calci, ridere o semplicemente manifestarsi nel battito di un cuore; tutte cose che al brufolo sono negate.

E veniamo al battito del cuore. Ci sono alcuni Stati e legislazioni che riconducono a questa manifestazione l’inizio dello status di essere umano. Da quel momento in poi non si può più abortire, salvo eccezioni. Scientificamente non si può concordare con questa discriminante tra la vita umana tutelata e ciò che non viene né tutelato né riconosciuto. La domanda da porsi sarebbe: che cos’è quell’esserino prima che il cuore batta il primo colpo? È spazzatura che può essere smaltita nei rifiuti organici? La risposta ci porterebbe troppo lontano.

Il battito del cuore di un feto è diventato nei giorni scorsi motivo di scandalo e strepiti, sollevati da femministe e da quella cultura o ideologia che considera l’aborto come un diritto. Questione che in Italia la pur tanto vituperevole Legge 194/78 esclude: la stessa legge è (forse ipocritamente) intitolata ‘Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza’; quindi la tutela della maternità viene prima e l’aborto è sempre stato presentato come una tragedia da evitare, altro che diritto di cui essere orgogliosi. Peraltro, l’aborto indotto o forzato o esercitato al di là dei limiti viene sanzionato penalmente e configurato come reato.

Il fattaccio che ha fatto tanto indignare sarebbe un presunto obbligo negli ospedali dell’Umbria di sottoporre le madri che vogliono abortire all’ascolto del battito del cuore del proprio bambino.

Tale prassi (risultata poi infondata) si configurerebbe come una tortura contro le donne, che sarebbero sottoposte ad uno stress e a pressioni intollerabili.

Che spettacolare autogoal! Questa affermazione risolve la questione sullo status del feto nel modo più convincente: infatti, se l’embrione è un insignificante ammasso di cellule, che problema c’è nel sentire il battito del cuore? Tuttalpiù sarà un rumore, un suono come tanti che non dovrebbe preoccupare. Ma se invece l’ascolto di un battito del cuore diventa una tortura, vuol dire che in esso si riconosce la vita di una creatura umana che si vorrebbe sopprimere. Più aumenta il dolore della madre che vuole abortire più è evidente che il concepito viene identificato per quello che è, smascherando le manipolazioni di chi vorrebbe ridurlo ad ammasso di tessuti senza dignità. Nell’ascolto di un battito il preteso diritto di aborto evapora di fronte al più grande di tutti i diritti: quello di avere un cuore che pulsa che nessuno deve permettersi di fermare.

E allora diventa chiara la mistificazione di chi vuol attribuire ad una creatura indifesa la colpa di essere strumento di tortura a causa della semplice manifestazione della sua presenza.

Rovesciamo allora l’accusa e poniamoci questa domanda: se ascoltare il cuore del figlio per una madre può essere una tortura, che vocabolo possiamo usare per descrivere la situazione e la sofferenza di un feto che viene smembrato e fatto a pezzi senza anestesie né riguardi o che viene eliminato da tossiche soluzioni saline che gli bruciano i tessuti?